Un premier liquido per tempi liquidi
ILVO DIAMANTI
SERGIO
Mattarella e Matteo Renzi. I due Presidenti. Formano una strana
coppia, tanto sono diversi e lontani. Anche se, fra i due, c’è un filo
politico e culturale comune.
MATTARELLA è
stato e resta un democristiano — di sinistra. Uno di quelli che si
definiscono — e vengono definiti — cattolici democratici. Renzi,
invece, è post-democristiano. Interpreta un modello di (post)
democrazia personalizzata e mediatizzata. Dove i partiti contano meno
perché, in fondo, si sono liquefatti. Per questo l’elezione di
Mattarella permette di precisare il tipo di leadership e di democrazia
interpretati da Renzi. Leader dei tempi liquidi, al tempo della
democrazia liquida. Secondo la nota formula di Zygmunt Bauman. Cioè:
senza appigli stabili e senza riferimenti coerenti. In continua
evoluzione e ri-definizione. Renzi ne ha fatto un ambiente amico. Dove
agisce e decide, perlopiù, da solo.
Il confronto con la precedente elezione presidenziale, nell’aprile
2013, risulta, al proposito, esemplare. Allora, le elezioni politiche
avevano fatto emergere un Parlamento diviso in tre grandi minoranze
politiche. In-comunicanti e divise anche al loro interno. Pd, Pdl e M5s.
L’elezione del Presidente ne ha fornito una prova decisiva. Ha,
infatti, dimostrato che si era alla fine di una stagione in-finita. Il
Berlusconismo. Una storia chiusa, ancora nel 2011. Senza che ancora se
ne fosse preso atto. Riproponendo gli stessi riti e le stesse procedure.
Come se il mondo fosse lo stesso di prima. Diviso in due. Pro oppure
contro. Berlusconi. Come non fosse avvenuta l’irruzione del M5s. Veicolo
della frattura fra società, politica e istituzioni. Così è stata
bruciata la candidatura di Franco Marini, ex leader della Cisl e della
Sinistra Dc. Ma, soprattutto, si è consumata la candidatura di Romano
Prodi. Padre dell’Ulivo e del Pd. In aula. Per mano dei franchi tiratori
del Pd. Molti più dei 101 di cui si è parlato. In questo modo è finita
la finzione. Che si potesse continuare come prima. Con le stesse
logiche di “partito”. Quando i partiti erano finiti, insieme ai loro
riferimenti. Crollati, insieme al muro di Arcore. La
“proroga” di Napolitano al Colle segna questo passaggio in-compiuto.
Perché è una nondecisione . In attesa di tempi diversi. Leader diversi.
Due anni dopo, quei tempi sono maturati. Tempi liquidi. Segnati da
partiti liquidi. Le tre grandi minoranze, uscite dal voto del 2013 non
esistono più. Non sono più grandi come prima. Due di loro, almeno. Il
Popolo delle Libertà, si è diviso in diversi popoli. Forza Italia,
guidata da Berlusconi. Il Nuovo Centro Destra guidato da Alfano.
Entrambi, peraltro, proprio in questa fase si sono scomposti
ulteriormente. Mentre il M5s si è, a sua volta, frazionato, in
Parlamento. Ormai non è chiaro quanti siano i “fedeli” a Grillo e
Casaleggio. E quanti parlamentari abbiano defezionato. Quel che resta
del Centro, infine, si è riunito in un’altra sigla: Alleanza Popolare.
Ma, in effetti, appare una periferia del PdR. Il Pd di Renzi. Il
principale, se non unico, vero “partito” di governo. Sfidato, solamente,
da partiti anti-europei e anti-politici. M5s e la Lega di Salvini,
per primi. Tuttavia, lo stesso Pd non si presenta unito. È
“geneticamente” diviso. Negli ultimi mesi, minacciato dalla tentazione
della sinistra interna di integrarsi con Sel. Per formare una sorta di
Tsipras all’italiana.
Ripercorro fatti e avvenimenti noti. In modo disordinato e superficiale.
Ma in grado, anche così, di rendere più evidente il segno di questa
Repubblica. Di questa democrazia. Liquida. Senza schemi né riferimenti
stabili. in questo ambiente immateriale e frammentario Matteo Renzi ha
affermato la propria leadership. In Parlamento e fra gli elettori.
Renzi, come si è detto fin dal suo esordio, è “veloce”. Mimetico.
Spregiudicato. Spietato, se necessario. Ha stabilito, da subito, un
dialogo con il Nemico. Berlusconi. Un Patto, si è detto, intorno alle
riforme istituzionali e alla riforma elettorale. Ma poi ha proceduto
diritto al “suo” scopo. Scegliendosi di volta in volta i nemici prima
ancora degli amici. A Destra e a Sinistra. Il Centro l’ha assorbito subito.
Così, ha avviato e impostato le riforme con alleati diversi. Il Jobs
act e l’abolizione del Senato elettivo. Fino alla riforma elettorale.
L’Italicum. Di cui è difficile delineare i contorni, dopo tante
mediazioni e riscritture. Modellando, di volta in volta, maggioranze à
la carte. Di volta in volta diverse, a seconda dei casi e degli
obiettivi. Primo alleato: Berlusconi. Formalmente all’opposizione ma,
puntualmente, a sostegno delle maggioranza, nelle occasioni che
contano. Fino a ieri. Cioè, fino all’elezione del Presidente della
Repubblica. Sergio Mattarella. Che non piace a Silvio Berlusconi. Per
ragioni “storiche”, trattandosi di un “cattocomunista”. A suo tempo,
ostile alla legge Mammì. Ma anche per ragioni “politiche” legate al
presente. Anzi, al “momento”. Perché Renzi l’ha scelto senza
consultarlo. Senza accordarsi con lui. E, in fondo, senza consultare
nessuno. Così ha “liquefatto” ulteriormente Fi, Ncd e M5S. Ma ha riunito
— e solidificato — il Pd. E la Sinistra, con cui il Pd si era alleato
alle elezioni politiche del 2013.
Da ciò la differenza rispetto al 2013, quando l’elezione del
Presidente aveva sancito l’impotenza del Pd e della sua leadership.
Avviandone la crisi. La scelta di Mattarella, invece, oltre che al
Paese, è utile a Renzi. Perché lo rafforza. Lo àncora alla storia
politica del Centrosinistra, mentre lo dis-àncora da ogni alleanza
stabile. Fuori e dentro il partito.
Renzi: è il premier dei tempi liquidi. Un “premier liquido”. Capace di
cambiare forma. E di adattarsi a un sistema politico liquefatto.
Renzi. Solo e veloce. Senza veri amici (politici). Questa è la sua
forza. Ma anche il suo problema. Perché non ha vincoli. Ma neppure
appigli e approdi stabili. Non ha neppure futuro. In questi tempi
liquidi: esiste solo il presente. Ogni giorno: un porto nuovo. Un
equipaggio diverso. E nuove insidie, nuovi nemici. Il viaggio potrebbe
diventare faticoso. E rischioso. Anche per un navigatore liquido.
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